Il gioco come metafora implicita nella filosofia di Adam Smith (1723-1790)
Settimo articolo della collana Il gioco nella filosofia dedicato ad Adam Smith. La collana si propone di illustrare come il gioco sia presente nella filosofia di vari pensatori e quale funzione esso abbia assunto nel corso della storia della filosofia. La serie è curata da Brunella Antomarini, docente di filosofia presso l’università John Cabot di Roma.
Il presente articolo è incentrato sul significato del gioco nel pensiero di Adam Smith.
“Nella competizione, l’ambizione individuale serve al bene comune.” Queste parole, tratte dal pluripremiato film A Beautiful Mind, rendono bene quello che è stato il principio guida del liberalismo economico per oltre duecento anni. Si tratta del concetto elaborato da Adam Smith nel XVIII secolo secondo cui ogni individuo cerca di massimizzare i propri profitti non per il bene della comunità, ma per interesse personale. Tale egoismo, in un libero mercato, può produrre benefici che giovano all’intera società. Per citare Smith, non “è dalla benevolenza del macellaio, del birraio o del fornaio che ci aspettiamo il nostro desinare, ma dalla considerazione del loro interesse personale” (La Ricchezza delle Nazioni, p.92). È come se una “mano invisibile” guidasse ogni individuo a raggiungere un fine che non è di fatto fra le sue intenzioni. In altre parole, in un libero mercato, se ogni individuo insegue i propri interessi, il mercato si troverà in equilibrio fra domanda e offerta.
In questo contesto, il gioco come metafora assume implicitamente un ruolo chiave nella filosofia di Adam Smith. Nel libro I de La Ricchezza delle Nazioni, il filosofo racconta di come un ragazzo, incaricato di aprire e chiudere la comunicazione tra la caldaia e il cilindro di una macchina a vapore, utilizza ingegnosamente una funicella per automatizzare il suo compito, guadagnandosi così del tempo per giocare con i suoi compagni (p.86-87). La crescita della produttività a seguito della suddivisione del lavoro deriva infatti dall’aumento della destrezza di ciascun lavoratore, dal minor tempo che perde nel passare da un lavoro all’altro, e dall’invenzione di nuove tecniche di automatizzazione che facilitino il lavoro. L’aneddoto del ragazzo che automatizza la macchina a vapore sta a dimostrare come l’invenzione di tali tecniche automatiche sia soprattutto frutto dell’abilità e della creatività di coloro che lavorano quotidianamente a contatto con le macchine, oltre che della conoscenza tecnica di ingegneri e filosofi. È evidente come in questo caso il gioco non sia inteso solamente come attività fine a sé stessa. Da una parte, il ragazzo sperimenta modi di automatizzare il lavoro per puro gioco. D’altra parte, il piacere del gioco stimola la fantasia e l’ingegno, due qualità che gli permettono di coglierne l’aspetto “utile” e di applicarlo astutamente per risparmiare energie e poter continuare a giocare.
L’essere umano dunque combina puro gioco, ingegno e astuzia non per giovare alla comunità, ma per perpetuare il piacere del puro gioco, ovvero il proprio interesse. Il gioco agisce da forza motrice e scopo del progresso economico in quanto attività libera, che nelle società liberali non può essere confinata. Tale libertà fa sì che l’essere umano produca più di quel che necessita e che l’eccesso venga introdotto sul mercato e reso socialmente utile. E nonostante Adam Smith fosse troppo ottimista e l’egoismo abbia rivelato l’aberrazione dello sfruttamento di risorse naturali e umane, sta proprio in questo la predominanza del capitalismo sul socialismo: la libertà di giocare è un incentivo all’innovazione, mentre l’imposizione di giocare secondo regole rigide nega il piacere del puro gioco, portando a produrre solamente quanto serve a soddisfare il fabbisogno della comunità, e dunque, per quanto socialmente controllato, fallisce. Nell’economia capitalista, infatti, la possibilità di applicare il proprio talento alla produzione di tecnologie il cui eccesso viene iniettato nel mercato favorisce il raggiungimento dell’equilibrio fra domanda e offerta. Si pensi ai prodotti di Apple e Microsoft, nati dall’inventiva di pochi individui talentuosi, fra cui Steve Jobs e Bill Gates. È noto che Steve Jobs e Steve Wozniak hanno iniziato a concepire ciò che sarebbe diventata la Apple in un garage, senza la sicurezza dei risvolti economici che ciò avrebbe avuto. È un esempio di come l’applicazione dell’ingegno per puro gioco si trasformi in astuzia nel momento in cui i benefici economici di un prodotto diventano evidenti. D’altronde, la libertà di giocare è anche alla base delle critiche che sono state mosse al capitalismo. Se l’efficienza economica si raggiunge quando la libertà di gioco non è limitata, come assicurarsi che tale logica capitalista non porti a conseguenze sociali indesiderate?
Sebbene la teoria economica si sia evoluta criticando alcuni aspetti della concezione di Adam Smith, il gioco come metafora implicita della libertà di produzione resta una potente forza motrice del progresso economico. L’essere umano gioca, ovvero produce, per soddisfare interessi personali, ma così facendo rende disponibile l’eccesso del suo prodotto e giova all’intera comunità. Il ragazzo che lavora alla macchina a vapore sa giocare, ovvero inventare per il puro piacere che ne deriva e non per altro fine strumentale. Vedendo poi il prodotto della sua invenzione, ne comprende l’utilità, in quanto gli permette di risparmiare energie e guadagnare tempo per giocare. Questo è l’interesse personale che si trae dalla propria produzione e che spinge l’essere umano a continuare ad applicare il proprio ingegno. Infine, ciò che il ragazzo produce per interesse personale diventa utile socialmente, in quanto può essere riprodotto su scala più grande.
Riferimenti:
Smith, A. (1975). La Ricchezza delle Nazioni. Anna e Tullio Biagiotti (a cura di). Torino: Unione Tipografico-Editrice Torinese.