Scacchi, pensiero e nuove tecnologie

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Il gioco come riproduzione del pensiero umano che ha contribuito alla nascita delle tecnologie moderne

Articolo conclusivo della prima sezione della collana Il gioco nella filosofia dedicato agli scacchi. La collana si propone di illustrare come il gioco sia presente nella filosofia di vari pensatori e quale funzione esso abbia assunto nel corso della storia della filosofia. La serie è curata da Brunella Antomarini, docente di filosofia presso l’università John Cabot di Roma.
Il presente articolo è incentrato sul ruolo del gioco degli scacchi nello sviluppo delle tecnologie moderne.

Ci si potrà chiedere cosa c’entrino gli scacchi con quanto s’è detto finora su gioco e filosofia. Ebbene, gli scacchi dimostrano come il gioco sia più che una semplice metafora, o stato mentale, come invece è stato interpretato finora. Sulle sessantaquattro caselle di una scacchiera il nostro processo decisionale viene riprodotto in miniatura in tutte le sue sfumature, combinando puro calcolo, analisi, istinto, creatività ed emozioni. Proprio per questo gli scacchi si prestano bene per una riflessione sul rapporto fra la nostra specie e l’intelligenza artificiale (IA), in cui si è cercato di instillare il modo di pensare proprio dell’essere umano fin dalla metà del secolo scorso. Viene dunque da chiedersi: può una macchina giocare a scacchi come un giocatore reale? Un “sì” significherebbe che i computer saranno presto capaci di emulare i processi mentali umani in molti altri ambiti. Cosa contraddistinguerà allora l’essere umano dalla macchina?
L’ambizione di costruire una macchina capace di emulare il pensiero umano giocando a scacchi precede di gran lunga l’avvento dell’IA. Già nel 1770, l’inventore ungherese Wolfgang von Kempelen voleva impressionare Maria Teresa d’Austria con un automa capace, a sua detta, di vincere una partita a scacchi contro qualsiasi membro di corte. Il Turco, come von Kempelen chiamava la sua invenzione, era un congegno a grandezza d’uomo coperto con indumenti mediorientali e seduto dietro una grande cassa in legno su cui poggiava una scacchiera. Il successo è stato tale che Il Turco è stato esibito per circa un secolo non solo in Europa, ma anche in America. È qui che ha suscitato l’interesse dello scrittore statunitense Edgar Allan Poe, che, dopo aver assistito a un’esibizione, ha deciso di dedicargli il saggio Il giocatore di scacchi di Maelzel per svelarne il funzionamento. Ovviamente il trucco c’era: una persona reale, nascosta nella cassa in legno, spostava i pezzi attraverso dei magneti.
Sebbene niente più che una truffa, Il Turco e altri simili congegni hanno acceso la fantasia dei padri dell’informatica e dell’IA. Il primo a sognare di insegnare ad una macchina il gioco degli scacchi è stato un matematico e filosofo britannico, Charles Babbage, inventore del primo computer. Babbage, che aveva perso ben due partite contro Il Turco nel 1819, voleva insegnare al computer a svolgere compiti più complessi che dei semplici calcoli, e per i suoi test aveva scelto proprio gli scacchi. Mentre però Babbage non è riuscito nell’impresa, l’idea è stata ripresa dai grandi informatici del XX secolo, come Alan Turing, Claude Shannon, Allen Newell, Herbert Simon. Lo scopo era sempre quello di instillare nella macchina l’intelligenza di un umano. In poche parole, di insegnare alla macchina a pensare da sé. Turochamp, il primo programma scacchistico ideato da Turing e David Champernowne nel 1948, si basava su un algoritmo capace di giocare un’intera partita contro un giocatore di livello molto basso calcolando tutte le possibili mosse volta per volta. Un programma che ha contribuito alla nascita dell’IA, ma comunque troppo lento per far fronte a un giocatore esperto. Il problema dei primi computer scacchistici stava proprio nel processo decisionale, che si basava sul calcolo bruto di tutte le possibili mosse, che possono arrivare a oltre un migliaio, piuttosto che sull’autoapprendimento, sulla creatività e sull’intuito.
Neanche i progressi raggiunti verso la fine del XX secolo, quando i computer hanno iniziato a surclassare persino i campioni del mondo di scacchi, sono serviti a dimostrare che si potesse instillare il pensiero umano nella macchina. Nel 1997, Deep Blue, un computer dell’IBM programmato appositamente per giocare a scacchi, si aggiudicava per la prima volta la vittoria in un match contro il campione del mondo Garry Kasparov. Questo risultato ha segnato l’inizio di una nuova era negli scacchi. La domanda non era più se si potesse insegnare al computer a pensare come un umano, ma piuttosto se fosse possibile insegnare a un umano a pensare come un computer.
Si è presto capito però quanto fosse sbagliata questa domanda. La macchina era sì più precisa del giocatore umano, poiché priva di emozioni o condizionamenti esterni che ne intaccassero il calcolo, ma non era infallibile. Sbagliava proprio perché le mancavano la creatività e l’intuito dell’essere umano, e soprattutto la capacità di imparare dai propri errori. Fino al 2017, i motori scacchistici funzionavano tramite gli stessi algoritmi, benché migliorati, di Deep Blue, valutando tutte le possibili combinazioni volta per volta con una profondità inumana. Per il giocatore, spesso era difficile capire la ragione per cui il motore suggeriva una mossa piuttosto che un’altra. Doveva dunque interpretare i suggerimenti della macchina e giudicarli sulla base delle proprie conoscenze.
Dal 2017, tuttavia, algoritmi basati sull’autoapprendimento hanno rivoluzionato tanto il gioco degli scacchi quanto il campo dell’IA, rendendo il processo decisionale del computer sempre più simile a quello umano. Dopo il software AlphaGo, che ha sconfitto il più forte giocatore al mondo di Go, l’azienda di Google DeepMind ha testato l’algoritmo sugli scacchi con il software AlphaZero. Il risultato è stato a dir poco incredibile: in poche ore, AlphaZero è stato capace di auto-apprendere il gioco da solo, superando i più forti motori tradizionali. Questo nuovo motore, sviluppato ulteriormente da allora, è in grado di apprendere dai propri errori, migliorandosi di volta in volta, e dunque di prendere decisioni non sulla base del calcolo di migliaia di varianti, ma della propria conoscenza. Ciò gli permette di trovare mosse che diversi forti giocatori di scacchi hanno definito fin troppo umane per via della loro creatività. Al giorno d’oggi, come è ben spiegato nel libro Game Changer del 2019, non sono più gli esseri umani ad insegnare al computer a giocare a scacchi, ma il contrario: siamo noi a cercare di imitare la creatività del motore, ad usarlo per migliorare il nostro processo decisionale.
Se il computer è ormai in grado di emulare il pensiero umano, incluse la capacità di calcolo e la creatività, cosa ci distingue dalle macchine? Probabilmente solo l’imperfezione e le emozioni, che ci impediscono di prendere sempre le decisioni migliori ma che le macchine non sono in grado di provare. Per citare Carlo Emilio Gadda, che ha dedicato nelle sue Meditazioni milanesi del 1928 poche ma intense pagine al gioco degli scacchi: “Giocando agli scacchi, si ottengono situazioni logiche continuamente difformi: quel gioco è, in misura tipica, una perenne deformazione logica”. L’intelligenza del gioco – che sia umana o artificiale – è proprio la dissoluzione dell’idea di una sostanza o “verità” che sarebbero rappresentate dalla vittoria. Nessuna vittoria poggia su una base stabile. Ogni mossa successiva, ogni partita successiva ne sono la prova.
In ambito scacchistico, la consapevolezza che la macchina abbia ormai superato il giocatore umano in ogni aspetto del gioco ha portato a una riconsiderazione del rapporto uomo-macchina. La macchina non è più un avversario ma un compagno di allenamento, una parte indispensabile e, potremmo dire, quasi integrante dell’essere umano. In questa esperienza è racchiuso ciò che probabilmente accadrà in molti altri ambiti, dalla medicina agli autoveicoli: occorrerà accogliere gli sviluppi tecnologici come un’estensione dell’essere umano piuttosto che come una minaccia o un avversario.


Riferimenti

Carlo Emilio Gadda, Meditazioni milanesi, in “Ediburgh Gadda Studies”, 2007-2020, http://www.gadda.ed.ac.uk/Pages/resources/essays/meditazione.php#Anchor-La-46919 Matthew Sadler e Natasha Regan, Game Changer: AlphaZero’s Groundbreaking Chess Strategies and the Promise of AI, New in Chess, 2019.

Daniela Movileanu
Daniela Movileanu è studentessa di Relazioni Internazionali presso l'università John Cabot di Roma, dove sta conseguendo anche un minor in Filosofia. Praticando scacchi a livello sportivo, è interessata alla relazione fra il gioco e discipline accademiche. A febbraio 2017, ha organizzato presso la John Cabot University una lecture sul ruolo della creatività umana nell'era della tecnologia visto attraverso gli scacchi.

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