I processi aziendali possono essere utilmente gamificati. Giocando si comunicano al meglio i temi della finanza e le funzioni di un’Istituzione pubblica come la Banca d’Italia. La collaborazione tra Banca d’Italia e GamificationLab ha aperto a paradigmi inediti
Innovazione e azione delle autorità pubbliche devono camminare insieme. Ciò implica che le autorità mettano una costante attenzione allo spostamento in avanti della frontiera del progresso tecnologico. L’obiettivo è duplice: conoscere le novità e vagliarne l’adattamento nei processi aziendali. Questo comportamento diventa cruciale quando si deve comunicare con un pubblico nuovo, vasto e diversificato. Nella ricerca di linguaggi innovativi e popolari abbiamo scoperto la gamification, oggetto di un primo approfondimento teorico e pratico in un seminario organizzato in Banca d’Italia insieme al professor Francesco Lutrario, nel gennaio del 2020. La disciplina è spesso affrontata con un approccio intuitivo e non scientifico; un primo tangibile risultato del seminario è stato superare questa impostazione superficiale, chiarendo il contesto e i principi di base. E’ diventato possibile porsi in modo corretto le domande fondamentali e ottenere delle prime risposte. Cosa è davvero la gamification? Cosa non è gamification? I processi aziendali possono essere utilmente gamificati? Giocando si comunica meglio?
La nostra riflessione su questi temi – una volta chiarita l’intenzione di sperimentare per comprendere ed eventualmente sfruttare in seguito le potenzialità del metodo – si è concentrata su due aspetti: il primo, un utilizzo dei giochi all’interno del nostro mondo-azienda; il secondo, una comunicazione all’esterno, per il grande pubblico. Abbiamo definito tre ipotesi di sperimentazione: un prodotto di formazione interna per giovani ispettori che devono apprendere le tecniche di analisi dell’attività riguardante lo stato di conservazione delle banconote; un gioco-test volto a sensibilizzare i dipendenti sulla sostenibilità ambientale del proprio posto di lavoro; uno strumento di educazione finanziaria per adulti per veicolare concetti di base utili per la gestione del denaro.
Descritte in poche righe, le tre idee sono state affidate ai partecipanti al GamificationLab Design Award 2020, dedicato esclusivamente alla Banca d’Italia, perché le traducessero in videogiochi. Le aspettative dei colleghi della Banca variavano (probabilmente a seconda della specifica competenza digitale) con un fondo comune di curiosità e impazienza: era la condizione di chi, abituato a vestirsi dallo stesso sarto, sceglie per la prima volta di rivolgersi a un artigiano nuovo, le cui creazioni sono apprezzate per la forma ma temute per l’originalità. Nel nostro caso non si tratta solo di tagliare su misura un abito, ma anche di sottoporre il cliente a una drastica dieta comunicativa e di suggerire cambiamenti nel regime concettuale finora adoperato.
Il metodo del laboratorio, basato sul lavoro di sette gruppi seguiti da un tutor interno, mira alla progressiva approssimazione dei prodotti con la collaborazione di tutor del committente, in questo caso esperti della Banca d’Italia appartenenti ai tre Servizi coinvolti (Gestione circolazione monetaria, Organizzazione, Educazione finanziaria). I tutor, con i noti vincoli della comunicazione a distanza, hanno raccontato il quadro generale e il dettaglio delle Funzioni coinvolte, nonché gli obiettivi di meccanica e di destinatari da cui siamo partiti. La relazione creativa tra Banca d’Italia e giovani studenti di informatica ha presentato profili interessanti. Vorremmo metterne in particolare evidenza due: riflessività e autonomia.
Il primo profilo, la riflessività. Il dialogo tra ragazzi e tutor della Banca è assimilabile a quello tra due comunità di esperti/non-esperti. In entrambi i casi al proprio interno i gruppi hanno competenze robuste e capacità identitarie ma, d’altro canto, sono mediamente privi del know-how degli interlocutori. Nelle sessioni plenarie e negli incontri tra tutor e singoli gruppi ogni concetto, ogni frase degli uni, veniva ripresa e ri-fomulata dagli altri con il linguaggio loro proprio, attraverso un continuo ping-pong adattativo che costruiva, poco alla volta, un terreno comune di intesa e di progettazione. La distanza tra i due mondi era più significativa per l’ampiezza e la specifica difficoltà andragogica per l’argomento di educazione finanziaria, a differenza del tema ambientale (presente e urgente nell’immaginario dei ragazzi) e di quello della visita ispettiva, codificato da normative interne più definite e quindi più “traducibile” in gioco. In ognuno dei tre casi abbiamo comunque verificato la disponibilità di tutti a comprendere le indicazioni altrui e a “cedere” su parti non essenziali del proprio sapere e saper fare.
Il secondo profilo, l’autonomia dell’esperto in giochi. Chiusa una prima fase di scambio su base “paritaria”, prende il sopravvento il designer del gioco. Una volta catturata l’idea della meccanica, dell’ambientazione, della regola del gioco, del punteggio, il committente ha un compito diverso: certificare – se possiamo dire così – la correttezza sostanziale delle componenti di contenuto, ma avendo meno voce in capitolo per la struttura del gioco in quanto tale. La fase di messa a punto del progetto sulla base della metabolizzazione delle indicazioni del committente non ha escluso del tutto il nostro ruolo di tutoraggio: riscontriamo anzi proprio qui uno dei pregi fondamentali della gamification, e cioè la possibilità di sostituire al ruolo duale committente-esecutore quello comune a entrambe le parti di progettista operativo. Quando lo specifico professionale delle persone coinvolte viene integrato dall’esperienza fatta in comune – che ha arricchito le due parti – si elimina la ritrosia del committente a interloquire con il professionista del gioco, perché si lavora ormai a un livello di condivisione e consapevolezza superiore a quello iniziale. Nel rispetto della sostanziale autonomia del lavoro del designer, lo stesso ambito riservato al tecnico assume un significato particolare anche per il committente, che partecipa comunque all’opera di perfezionamento e affinamento del prodotto.
Avviene con la gamification qualcosa di simile alle iniziative di peer education che le persone che fanno training di educazione finanziaria in Banca d’Italia pongono in essere spontaneamente con altri soggetti: catturato il messaggio interessante e utile, nasce anche il desiderio di trasmetterlo a propria volta.
I mock-up presentati dai ragazzi a settembre hanno, da un lato, confermato la bontà del metodo, fornendo ottimi spunti, molti dei quali meritevoli di sviluppo ulteriore.
Dall’altro lato, hanno mostrato un coinvolgimento e una passione che ha giovato alla riuscita complessiva dei prodotti.
Vorremmo chiudere sottolineando che per un’Istituzione pubblica come la Banca d’Italia la sperimentazione di gamification non è solo toccare con mano un linguaggio alla moda, da utilizzare come veicolo per i propri contenuti. La crescente complessità di problemi sempre nuovi e le difficoltà comunicative di società insieme indaffarate e distratte richiedono paradigmi inediti. Anche giocare e divertirsi – che per la loro stessa definizione rappresentano modi e metodi di allontanamento dalla fatica e dalla seriosità del lavoro – possono essere recuperati per interpretare, coinvolgere, comunicare i temi della finanza e dell’economia e le funzioni di un’Istituzione pubblica. Grazie alle persone del GamificationLab abbiamo capito che l’homo ludens fa un lavoro serio, che può aiutarci nelle nostre attività.
Articolo a cura del Dott. Pietro Gaudenzi di Banca d’Italia.
NOTA: le opinioni presentate sono personali e non coinvolgono la responsabilità dell’Istituto.