Il Gioco – caratteristiche formali

Foto: Gioco

Questo breve articolo tratta delle caratteristiche del gioco dal punto di vista antropologico, inquadrando in maniera formale le sue peculiarità rispetto alla vita reale

Visto che la realtà del gioco si estende molto oltre la sfera della vita umana, essa non può avere fondamento in alcun nesso razionale, perché altrimenti il gioco sarebbe limitato alla razza umana. E in verità il gioco non può essere in alcun modo negato. Potrai forse negare, se desideri, qualsiasi altro tipo di astrazione: la giustizia, la bellezza, la verità, la mente, Dio. Potrai negare la serietà, ma non il gioco.
Nel gioco, la bellezza del corpo umano in movimento raggiunge il suo zenith. Nelle sue forme più sviluppate è ricolmo di ritmo e di armonia, il regalo più nobile di percezione estetica noto all’uomo.
Qui, dunque, abbiamo la principale caratteristica del gioco: esso è libero, infatti il gioco è libertà. La seconda caratteristica è strettamente connessa con questo, e cioè che il gioco non è vita “reale” o “ordinaria”. Piuttosto il gioco è un uscire fuori dalla vita “reale” verso una sfera temporanea di attività con caratteristiche sue proprie. Ogni bambino che gioca sa perfettamente che sta solo “facendo finta”, o che lo fa “solo per divertirsi”. E quanto questa consapevolezza sia profondamente radicata nell’animo di un bambino è illustrato in maniera fulminante dalla storia che mi raccontò il padre del pargolo in questione. Egli trovò il suo bambino di quattro anni seduto davanti ad una fila di sedie, mentre giocava a fare il treno. Come si avvicinò al figlio, il bambino disse “ papà, non baciare la locomotiva, altrimenti i vagoni non crederanno più che è vera”.
Questa qualità del “fare finta” posseduta dal gioco tradisce la consapevolezza dell’ inferiorità del gioco nei confronti della “serietà”, un sentimento che pare essere altrettanto primario quanto il gioco stesso. Tuttavia, come già detto, la consapevolezza che il gioco è solo un “fare finta” non toglie nulla al fatto che esso proceda con la più completa serietà, con totale assorbimento, e con una devozione che sconfina nell’estasi e, temporaneamente almeno, cancella completamente la sensazione che sia solo un “fare finta”. Ogni gioco può, in qualsiasi momento, fuggire via e scappare di mano, assieme ai giocatori. Il contrasto tra gioco e serietà è sempre fluido. L’inferiorità del gioco rispetto alla realtà è continuamente compensato dalla corrispondente superiorità della sua serietà. Il gioco si trasforma in cosa seria e la cosa seria si trasforma in gioco, continuamente. Il gioco può assurgere a vette elevatissime di sublime bellezza, che lasciano la serietà molto al di sotto.
Il gioco rimane distinto dalla vita ordinaria sia per quanto riguarda la sua localizzazione che per quanto riguarda la sua durata. Questa è la terza caratteristica peculiare del gioco: la sua “auto consistenza”, la sua limitazione. Il gioco è giocato all’interno di certi limiti di tempo e di spazio, e contiene in se stesso il suo corso ed il suo significato.
Il gioco comincia, e poi, ad un certo punto finisce. Viene giocato fino ad una conclusione. Mentre progredisce è tutto un movimento, un cambiamento, un moto alternato di successioni, associazioni, separazioni. Ma immediatamente connessa al suo carattere di limitatezza nel tempo, il gioco presenta anche un’altra curiosa caratteristica: preso nel suo insieme assume la forma fissa di fenomeno culturale. Una volta giocato, un gioco continua a perdurare come una nuova forma di creazione mentale, un tesoro da custodire ben stretto nella memoria.
Ancor più della sua limitatezza nel tempo, colpisce la sua limitatezza nello spazio. Tutti i giochi si muovono ed esistono all’interno di un campo di gioco, sia esso materiale o ideale, tracciato in precedenza in maniera deliberata o come stato di fatto. Così come non esiste differenza formale tra gioco e rituale, neppure l’”altare consacrato” può essere formalmente distinto da un campo da gioco. L’arena, il tavolo da gioco, il cerchio magico, il tempio, il palcoscenico, lo schermo, il campo da tennis, l’aula di giustizia, etc., presentano tutti la forma e la funzione di un campo da gioco, cioè sono luoghi proibiti al di fuori del gioco, isolati, circondati da limiti consacrati, all’interno dei quali valgono regole speciali. Ognuno di essi è un mondo temporaneo, all’interno del mondo ordinario, dedicato alla recita di un atto a sé stante.
All’interno del campo da gioco regna un ordine peculiare ed assoluto. E qui incontriamo un’altra caratteristica assolutamente positiva del gioco: esso crea un ordine. E’ l’ordine. All’interno di un mondo imperfetto e dentro la confusione della vita, il gioco porta una perfezione temporanea e limitata. Il gioco richiede un ordine assoluto e supremo. La minima deviazione da questo ordine spoglia il gioco, lo depriva del suo carattere e lo rende inutile. La profonda affinità del gioco con l’ordine è forse la ragione per cui il gioco sembra appartenere in così larga parte al regno dell’estetica. Il gioco tende ad essere meraviglioso e può ben essere che questo fattore estetico si identifichi con l’impulso di creare forme ordinate, cosa che anima il gioco in ogni suo aspetto.
Gli elementi di tensione nel gioco risultano particolarmente importanti. La tensione significa incertezza, occasionalità: lo sforzo per risolvere il compito e così porre fine ad esso. Il giocatore cerca una via, un percorso, vuole “vincere” attraverso i propri sforzi. Un bambino che cerca un giocattolo, un gattino che gioca con un gomitolo, una ragazza che gioca a palla – tutti loro vogliono ottenere qualcosa di difficile, vogliono riuscire, vogliono mettere fine alla tensione. Il gioco è “tensione”, come abbiamo detto. E’ proprio questo elemento di tensione e soluzione che sta alla base dei giochi di abilità e applicazione come i puzzle, i cruciverba, i mosaici, e più il gioco presenta il carattere del completamento, più sarà giocato in modo fervente. Nel gioco d’azzardo e nello sport questa caratteristica di tensione raggiunge il suo apice. Sebbene il gioco in se stesso sia al di là delle categorie di bene e male, l’elemento di tensione impartisce un certo senso di valore etico nel momento stesso in cui tale tensione rappresenta una sfida alla abilità del giocatore: il suo coraggio, la sua tenacia, le sue risorse e, ultimo ma non meno importante, i suoi poteri spirituali – legati alla correttezza, perché, nonostante il suo ardente desiderio di vincere, il giocatore deve sempre attenersi alle regole del gioco.
Queste regole a loro volta sono un fattore importantissimo del concetto di gioco. Ogni gioco ha le sue regole. Esse determinano ciò che è “valido” nel mondo temporaneo circoscritto dal gioco. Le regole di un gioco sono assolutamente vincolanti e non ammettono dubbio. Paul Valery, in un passaggio, diede espressione ad un concetto molto profondo quando disse: “ Nessuno scetticismo è possibile quando si tratta delle regole di un gioco. Poiché il principio che ad esse soggiace è una verità incrollabile…”. Infatti, non appena si trasgredisce una regola, l’intero mondo creato dal gioco collassa di colpo: il gioco finisce, il flauto magico smette di suonare e permette al mondo “reale” di irrompere di nuovo.
Il giocatore che infrange le regole o che le ignora è un “fuori dal gioco”. Il fuori dal gioco non coincide col mentitore o con il falso giocatore, poiché questi ultimi fanno credere di giocare il gioco e, facendo ciò, ancora riconoscono l’autorità del cerchio magico. E’ curioso notare in quale enorme misura la società sia più tollerante nei confronti del giocatore che bara rispetto al fuori dal gioco. Questo accade perché il fuori dal gioco frantuma col suo comportamento l’intero mondo creato dal gioco. Nel rifiutare il gioco egli rivela la fragilità di quel mondo in cui egli, assieme agli altri, si era rinchiuso. Egli deruba il gioco della sua ILLUSIONE, una parola pregnante, dal latino IN LUDERE, che significa letteralmente essere nel gioco. Perciò egli deve essere espulso, poiché minaccia col suo comportamento l’esistenza stessa della comunità dei giocatori. La figura del fuori dal gioco è particolarmente discernibile nei giochi tra ragazzi. La piccola comunità non si chiede se il fuori dal gioco sia colpevole di defezione perché non osa entrare nel gioco oppure perché non gli è permesso. La comunità non riconosce il fatto che “non gli è permesso” e lo chiama “mancanza di coraggio”. In questa situazione, il problema dell’ obbedienza e della coscienza si riduce a niente di più che alla paura di una punizione. Il fuori dal gioco frantuma il cerchio magico, perciò è un codardo che deve essere espulso. Anche nel mondo della serietà i mentitori e gli ipocriti hanno sempre avuto una vita più facile dei “fuori dal gioco”, che in questo mondo sono chiamati apostati, eretici, innovatori, profeti, obiettori di coscienza, etc. Talvolta, tuttavia, accade che i fuori dal gioco a loro volta formino delle nuove comunità con proprie regole. I fuorilegge, i rivoluzionari, i cabalisti o i membri di società segrete, tutti in un certo senso hanno una forte disposizione se non sociale, quanto meno ad associarsi, e certi elementi caratteristici del gioco sono presenti in ogni loro atto.
Una comunità di gioco tende generalmente a diventare permanente anche quando il gioco si è concluso. Naturalmente non ogni gioco con la scacchiera o ogni bridge-party si trasforma in un club, ma la sensazione peculiare di essere “riuniti in disparte” in una situazione eccezionale, di condividere qualcosa di importante, di separarsi scambievolmente dal resto del mondo e di rifiutare le norme usuali, questa sensazione mantiene la sua magia al di là della durata del singolo gioco. Il club sta al gioco come il cappello sta alla testa. Sarebbe irritante tentare di spiegare tutte le associazioni che gli antropologi chiamano “fratrie” – per esempio clan, discendenze, etc. – come semplici comunità di giocatori; tuttavia è stato mostrato più e più volte quanto sia difficile tracciare una linea di confine netta tra gruppi sociali permanenti da un lato – particolarmente nelle culture arcaiche con le loro abitudini sacre e solenni – e la sfera del gioco dall’altra parte.
La posizione eccezionale e speciale del gioco è evocativamente illustrata dal fatto che esso ama circondarsi di un’aura di segretezza. Persino nella prima infanzia l’incanto del gioco è accresciuto quando se ne costruisca un segreto. Questo è per NOI, non per gli “altri”. Quello che fanno gli “altri” là “fuori” non ha assolutamente importanza per noi in questo momento. Dentro il circolo sacro del gioco le leggi e le abitudini della vita ordinaria non hanno più alcun valore. Ora noi siamo differenti e facciamo le cose in modo differente. Questa abolizione temporanea delle regole della vita ordinaria è accettata in maniera naturale e completa durante l’infanzia, ma risulta non meno evidente nei grandi giochi cerimoniali delle società selvagge. Durante le grandi feste di iniziazione, quando i ragazzi vengono accolto nella comunità dei maschi adulti, non sono solamente i neofiti che sono esentati dalle regole e dalle leggi ordinarie: c’è una tregua che riguarda tutte le faide nella tribù. Tutti gli atti di rappresaglia e di vendetta sono sospesi. Questa sospensione temporanea della vita sociale normale in occasione del periodo dei giochi ha numerose tracce anche nelle civiltà più vicine a noi, per esempio durante le Olimpiadi dell’antica Grecia venivano sospese le ostilità. Oppure durante i saturnali e i carnevali vengono sospese le regole sociali.
I caratteri di differenza e segretezza connessi con il gioco sono vividamente espressi dal fenomeno del “travestimento”. Qui la natura “extra ordinaria” del gioco raggiunge la sua perfezione. L’individuo travestito o mascherato “gioca” ad essere un’altra cosa, un altro individuo. Egli è in un certo senso un altro. Le paure dei bambini, la gaiezza spensierata, le fantasie mistiche e il terrore sacro sono tutti inestricabilmente collegati in questo strano affare del mascheramento e dell’inganno.
Riassumendo le caratteristiche formali del gioco, potremmo definirlo come un’ attività libera che si posizione abbastanza deliberatamente al di fuori della vita ordinaria essendo “non sul serio”, ma allo stesso tempo assorbe i giocatori in maniera intensa e completa. Questa attività non risulta connessa con alcun tipo di interesse materiale, e nessun profitto può essere guadagnato nel gioco. Il gioco procede all’interno dei suoi propri limiti di tempo e spazio secondo regole fissate e in una maniera ordinata. Il gioco promuove la formazione di gruppi sociali che tendono a circondarsi di segretezza e a sottolineare la loro differenza con il resto del mondo attraverso camuffamenti o altri accorgimenti.


Paolo Pulicani
Paolo Pulicani, laureato in ingegneria elettronica all’Università “La Sapienza – Roma”, master MBA presso “Alma Mater – Bologna”. Si è occupato di modellizzazione di Big Data critici per il miglioramento di processo, prodotto e servizio nelle industrie manufatturiere e terziario, con applicazioni nella gamification, di algoritmi di consenso e teoria dei giochi nell’ambito delle tecnologie blockchain, di simulazioni, controllo ed utilizzo di AR/VR nell’ambito dei sistemi automatizzati di produzione.

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