Il gioco nella filosofia: Platone (Atene, 428 a.C. – 348 a.C.)

Foto: Platone

Il significato del gioco nella filosofia e nelle opere di Platone, il filosofo greco che è fra i fondatori della filosofia occidentale

Secondo articolo della collana “Il gioco nella filosofia” (curata da Brunella Antomarini, docente di filosofia presso l’università John Cabot di Roma). La collana ha l’obiettivo di illustrare come il gioco sia presente nella filosofia di vari pensatori e quale funzione esso abbia assunto nel corso della storia della filosofia.
Le opere di Platone, il filosofo greco che è fra i fondatori della filosofia occidentale, ci permettono di capire come il gioco fosse visto dagli antichi greci. Descrivendo il gioco come un’unione di serio e ludico, Platone ne esalta la funzione propedeutica e lo assimila alla vita stessa.
Allievo di Socrate e maestro di Aristotele, Platone è considerato uno dei fondatori della filosofia occidentale. Gli argomenti trattati nelle sue opere spaziano fra scienza e politica, fra etica ed estetica, tramandandoci così una visione comprensiva del sapere dell’epoca. Grazie a tale completezza, possiamo comprendere anche il significato che il gioco assume per i greci. Per questi, infatti, il gioco non è solamente l’attività frivola e fine a se stessa dei più giovani, bensì può ricoprire il ruolo di attività propedeutica ed educativa tanto per bambini quanto per adulti. In questo senso, il gioco di colloca ai confini fra il serio e il ludico e fra l’intelligenza e la leggerezza, rivelandosi utile sia per sviluppare e curare il fisico, sia per socializzare, sia per imparare il rispetto delle regole.
L’etimologia stessa dei termini usati dai greci per la parola “gioco” è significativa. Tanto i sostantivi paidiae paighnion, che significano “gioco”, quanto il verbo paizein, che significa “giocare, danzare, suonare”, hanno una radice comune in pais, ovvero “bambino”, da cui nasce anche paideia (educazione). Non a caso lo storico Huizinga nota che paidia“può significare ogni sorta di forma del gioco, fino alle più elevate e alle più sacre” e che un’altra parola, athyro, viene utilizzata per dare “la sfumatura della frivolezza e dell’insignificante”(Huizinga, Homo ludens, Milano: Einaudi, 2002, cap. II).Ѐ lo stesso Platone a utilizzare termini quali paidiae paighnion per indicare cerimonie e danze sacre. Nell’ ambito del gioco si inserisce, inoltre, anche la competizione, la gara, che i greci definiscono con agon. I Giochi olimpici, che sono associati ad un’atmosfera festosa, ben rendono l’importanza che i greci attribuiscono alla cura del corpo e al fatto che il dare il meglio di sé nella competizione abitua l’amina emotiva all’onore.
Più nello specifico, troviamo riferimenti alle varie funzioni svolte dal gioco nelle Leggi. Si tratta di un’opera di filosofia politica, in cui Platone pone la legge al vertice della piramide governativa. Siccome un’organizzazione politica ideale necessita cittadini che svolgano ruolo specifico, l’educazione deve essere impartita, dice Platone, fin da bambini. Leggiamo infatti quanto segue:
…il punto essenziale dell’educazione consiste in un corretto allevamento che, tramite il gioco, diriga il più possibile l’anima del fanciullo ad amare quello che, divenuto uomo, dovrà renderlo perfetto nella virtù propria della sua professione.(Platone, Tutte le opere, a cura di Enrico V. Maltese, Leggi, 643c-643d, traduzione di Enrico Pegone)
Ciò significa, riprendendo l’esempio che Platone stesso fornisce, che colui che aspira a diventare un architetto deve fare giochi di costruzione così come colui che vuole fare il contadino deve giocare a coltivare la terrà. L’educatore, a tal fine, deve fornire i bambini con degli strumenti in miniatura che imitino quelli reali.Oltre ad avere tale funzione propedeutica, il gioco sta ad indicare la condizione stessa dell’uomo. Scrive Platone:
ATENIESE: Io dico che dobbiamo occuparci di ciò che è serio, e non di ciò che serio non è: e per natura ciò che è divino è degno di ogni interesse, come un essere beato, mentre l’uomo, come dicevamo prima, è soltanto un giocattolo fabbricato dagli dèi, ed in effetti questa è la sua parte migliore. In conseguenza di questa concezione, ogni uomo e ogni donna devono vivere giocando al meglio possibile questo gioco, pensando il contrario di ciò che oggi si pensa.
(Platone, Tutte le opere, a cura di Enrico V. Maltese, Leggi, 803c, traduzione di Enrico Pegone)
L’uomo altro non è che un giocattolo che la divinità si diverte a creare, e come tale è attraverso il gioco che egli deve condurre la sua vita, così da imitare ed ingraziarsi gli dei. Come Platone spiega, “oggi” si pensa di dover fare le cose serie in funzione del divertimento, ad esempio fare la guerra in funzione della pace. Al contrario, bisogna in verità vivere giocando, ovvero facendo sacrifici, danze e canti per propiziarsi gli dei.
In poche parole, Platone guarda al gioco come un’unione inscindibile fra il serio e il ludico, anticipandone così il ruolo propedeutico, che oggi è ampiamente riconosciuto, e la sua importanza per l’esistenza stessa dell’uomo. Così come gli antichi greci, ancora oggi il gioco ricopre funzioni fondamentali nella nostra società, dalle competizioni sportive agli spettacoli teatrali.

Daniela Movileanu
Daniela Movileanu è studentessa di Relazioni Internazionali presso l'università John Cabot di Roma, dove sta conseguendo anche un minor in Filosofia. Praticando scacchi a livello sportivo, è interessata alla relazione fra il gioco e discipline accademiche. A febbraio 2017, ha organizzato presso la John Cabot University una lecture sul ruolo della creatività umana nell'era della tecnologia visto attraverso gli scacchi.

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