L’istinto al gioco di Karl Groos.

Groos
Articolo a cura di Daniela Movileanu.

Il gioco come istinto che allena l’intelligenza e tutti quei tratti necessari alla vita dell’animale adulto nel pensiero del filosofo e psicologo tedesco Karl Groos.

Partiamo con alcune immagini familiari: un gattino che scatta e rincorre un gomitolo di lana appena lo vede nonostante un attimo prima si rifiutasse di alzarsi da terra, esausto; un cagnolino che si accuccia stremato da troppa corsa, ma che si lancia per inseguire un compagno di giochi che lo stuzzica; un bambino in lacrime, stanco per aver scorrazzato tutto il giorno, che prega la mamma di tornare a casa, ma che subito recupera le forze e si rimette a correre se ha l’opportunità di giocare. Perché il gattino, il cagnolino e il bambino – così come altri animali – giocano? Forse perché hanno troppa energia e sentono il bisogno di scaricarla? No, dice Groos. Tant’è che giocano anche quando di energia superflua ne hanno ben poca. Forse allora giocano perché sentono il bisogno di ricreazione, di recuperare le energie? Neanche questo. Il gioco di certo dà ricreazione, ma non è il bisogno di ricreazione a generare il gioco. Un adulto potrà anche giocare per rigenerare le energie dopo una lunga giornata di lavoro, ma non può essere questo il movente per un bambino che ha già passato tutta la giornata a svagarsi. Cos’è che spinge e motiva al gioco, allora?

“Istinto” è la risposta di Groos.

Karl Groos, filosofo e psicologo tedesco vissuto a cavallo fra il XIX e il XX secolo, è stato fra i primi a porre il gioco al centro della sua ricerca accademica. Diversamente dai filosofi trattati nel primo volume di questa raccolta, nei cui scritti il gioco o appare come metafora o viene trattato sommariamente, Groos dedica intere opere alla ricerca della funzione che il gioco svolge per gli esseri umani e altri animali, come ad esempio Die Spiele der Tiere (“Il gioco degli animali”). La principale influenza sul pensiero di Groos al riguardo è Charles Darwin, che proprio in quegli anni andava affinando la sua nota teoria evoluzionistica incentrata sulla selezione naturale.

È proprio sulla base delle scoperte darwiniane che Groos costruisce la sua teoria del gioco. Sostiene infatti che l’istinto sia una conditio sine qua non del gioco, nonché il risultato di un processo di selezione naturale. Giocando, l’animale dà sfogo a istinti basilari che lo portano a esercitarsi in attività importanti per la sua sopravvivenza da adulto. Il gattino, ad esempio, rincorre un rotolo di carta così come il gatto adulto rincorre un topo. Questi istinti non sono il risultato di forze trascendentali come molti contemporanei di Groos sostengono, bensì sono caratteri ereditari tramessi principalmente attraverso la selezione naturale. L’utilità del gioco sta nel fatto che offre la possibilità di praticare ed esercitare alcune delle più importanti funzioni nella vita di un adulto in “forme meno elaborate” (p. 76), cioè semplici e fini a se stesse, e quindi più adatte alla preparazione alle regole sociali dell’adulto. Il gioco, in altre parole, sviluppa l’intelligenza, proprio perché si esercita su un terreno fittizio o auto-referenziale, non per fini pratici. Proprio per questo motivo secondo Groos non è l’animale che gioca perché è giovane, ma è la giovinezza stessa che esiste perché l’animale possa giocare e prepararsi dunque alla vita adulta.

Groos vuole così scardinare le teorie più accreditate dei suoi tempi, secondo cui il gioco è il risultato di un eccesso di energia (surplus-energy) oppure di un bisogno di ricreazione. La prima ipotesi deriva principalmente da Herbert Spencer, che a sua volta si ispira a un concetto che ha un ruolo minore nelle Lettere sull’educazione estetica dell’uomo di Friederich Schiller. Si tratta appunto del concetto secondo cui gli animali hanno energie in eccesso rispetto a quelle necessarie per la sopravvivenza, e sentono dunque il bisogno di liberarsene attraverso attività poco serie e fini a sé stesse, cioè il gioco. La seconda ipotesi ha sostenitori come l’educatore tedesco Guts Muth, secondo cui gli animali giocano perché hanno bisogno di recuperare le energie attraverso il gioco. Queste due ipotesi, apparentemente in contraddizione, sostengono di fatto la stessa cosa: quando ad esempio uno studente gioca a calcio dopo una lunga giornata di studio, consuma le energie fisiche mentre ricarica quelle mentali. Groos non nega l’effetto rigenerante del gioco, ma respinge queste teorie usando vari esempi dal mondo animale che dimostrano che l’animale gioca anche quando è stanco. Rifiuta inoltre anche le teorie secondo cui il gioco è imitazione, sostenendo che gli animali giovani manifestano alcuni istinti prima ancora di averli visti negli adulti.

L’istinto, dunque, resta per lui la migliore spiegazione del perché gli animali giocano. Anzi, si potrebbe dire che è il gioco del bambino e del cucciolo a svilupparsi nell’adulto in forme di variazione e invenzione rispetto alle attività già esistenti. Questo spiegherebbe come le specie evolvono, non solo automaticamente, ma anche grazie all’intervento dell’individuo, che, “reinventandosi” continuamente, produce – in modo indiretto – una selezione “organica” (Groos trae questo termine da James Mark Baldwin), cioè non del tutto cieca: gli individui con certe capacità di gioco imparano di più sull’ambiente e quindi sopravvivono con più facilità e contribuiscono a modificare la specie. Queste capacità “diventano” istinti.

Nell’identificare l’istinto come movente del gioco, Groos ci mostra come il gioco sia molto più che un’attività frivola, fine a sé stessa. Al contrario, il gioco stimola l’intelligenza e rivela quei tratti psicologici che sono istintivi nell’animale e che diventano poi manifesti anche nell’esperienza reale dell’adulto. A livello psicologico, il gioco è accompagnato da una sensazione di piacere che deriva sia dall’aver soddisfatto l’istinto, sia dall’aver compiuto un’azione energica, sia dalla soddisfazione di chi prevale nella lotta per il potere o la supremazia (e l’istinto a lottare per il potere, come forma di superamento di ostacoli, è innato in tutti gli animali). È particolarmente importante quest’ultimo aspetto del gioco, per cui l’animale, nei giochi di movimento, prima cerca di padroneggiare il proprio corpo, poi rivolge la sua attenzione a oggetti inanimati, distruggendoli, e infine si spinge oltre ed attacca altri animali. In giochi invece che richiedono la costruzione di qualche cosa o il prendersi cura di qualcosa, sono altri istinti a manifestarsi, come l’istinto a rivendicare proprietà di qualcosa o all’assoggettamento. Ancor più importante, nell’essere umano la sensazione di libertà data dal gioco permette la produzione artistica, che altro non è che l’inconscia azione del gioco resa conscia. L’essere umano non ha libertà nell’esistenza reale, ma solo quando gioca. L’ideale a cui aspira è solo un sogno, ma non è perso: si può ritrovare nel gioco.


Riferimenti:

Karl Groos: “The Play of Animals”, traduzione di Elizabeth L. Baldwin, New York, D. Appleton and Company, 1898.

Daniela Movileanu
Daniela Movileanu è studentessa di Relazioni Internazionali presso l'università John Cabot di Roma, dove sta conseguendo anche un minor in Filosofia. Praticando scacchi a livello sportivo, è interessata alla relazione fra il gioco e discipline accademiche. A febbraio 2017, ha organizzato presso la John Cabot University una lecture sul ruolo della creatività umana nell'era della tecnologia visto attraverso gli scacchi.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here