Motivazione e ingaggio nel gioco

Foto: Motivazione e gioco

Perché un gioco risulta coinvolgente; introduzione ai meccanismi motivazionali di base in relazione alle strutture di gioco.

Nel guardare i contributi che si possono trovare in rete rispetto alla gamification, si rimane piuttosto perplessi nel vedere come vengano sostanzialmente ignorati meccanismi motivazionali di base.
Per cui i tentativi di coinvolgere un alto numero di giocatori o garantire che essi siano sufficientemente ingaggiati si riducono unicamente a forme di premi di qualche tipo.
In questo breve articolo cercherò di analizzare quali siano i meccanismi motivazionali di base e di tratteggiare come siano connessi alla struttura di un gioco: quindi in buona sostanza perché un gioco risulta più o meno coinvolgente.
Il motore della motivazione dell’uomo, cioè quello che ci spinge ad agire e a fare le cose, è qualcosa che è strettamente connesso alla soddisfazione dei bisogni. In un dato istante fra i molti bisogni ce n’è uno che emerge con maggiore forza ed è quello che cerchiamo quindi di soddisfare.

Lo psicologo Abrahm Maslow nel 1954 fu tra i primi a costruire una teoria motivazionale basata sulla gerarchizzazione dei bisogni e da allora la teoria si è evoluta e integrata attraverso anche le recenti scoperte di neuroscienze.
In una maniera piuttosto semplificata è possibile dire che le aree di motivazione di ogni essere umano appartengono a tre grandi categorie: Stabilità/Sicurezza, Appartenenza, Realizzazione.
Nella prima area risiedono bisogni di conservazione e protezione fisica e psicologica dell’individuo. Aldilà delle funzioni primarie (mangiare, bere, dormire, etc.) abbiamo perciò bisogno di sentirci sicuri da un punto di vista fisico (salute) e psicologico (minacce).
All’area della Appartenenza appartengono i bisogni di affettività, integrazione, riconoscimento come parte di un gruppo e sentirsi utili agli altri.
L’area della Realizzazione è divisa in due sotto-aree: Crescita e Differenziazione.
La prima è il bisogno relativo all’allargamento dell’autonomia, del conoscere e saper fare le cose, del raggiungimento dei risultati e dell’affrontare le sfide.
La seconda è un’area di bisogni miranti a lasciare il segno del nostro passaggio nel mondo, quindi a ottenere risultati visibili e riconoscibili dagli altri, i bisogni di riconoscimenti e di status.
Possiamo anche dire che una volta che i bisogni di tipo Stabilità/Sicurezza siano stati soddisfatti ogni individuo è un po’ all’interno di un dilemma fra Appartenere e Realizzarsi. Questa dicotomia è in genere risolta in modo sufficientemente “stabile” (può cambiare in effetti nel tempo) dagli adulti e quindi abbiamo persone più “appartenenti” e persone più tese a “realizzarsi”.
I primi mirano a creare buone relazioni e a preoccuparsi dello stato d’animo dei membri del gruppo, quindi sviluppano atteggiamenti gruppali.
I secondi invece sono attratti dalle sfide e puntano ai risultati prima che alla relazione, quindi vogliono emergere come individui.
Questa importante differenza per esempio è distintamente notabile quando si ricerca un posto di lavoro: i primi mireranno ad un posto di lavoro che prefigura un buon clima fra colleghi, molto cooperativo, in cui i conflitti siano o bassi o in genere risolti velocemente e positivamente.
I secondi cercheranno sfide, varietà del lavoro, possibilità di crescere professionalmente e di far carriera.
Senza voler ora approfondire troppo, è già quindi possibile vedere che le persone fanno scelte e agiscono su basi motivazionali diverse.
Nel gioco che costituisce un “a parte”, cioè una realtà nella realtà, queste forze agiscono nello stesso modo.
Credo che sia un’esperienza comune di chiunque abbia giocato a qualcosa, il rilevare come per molti il giocare rappresenti un fatto sociale, che consolida le relazioni, mentre per altri sia una forma di affermazione si sé. Tale contrasto si esplicita molto bene quando la dinamica di gioco competitivo costringe il giocatore a prendere una decisione che nella partita rischia di danneggiare molto un altro, o quando uno dei giocatori cerca di applicare al massimo vantaggio possibile il regolamento. Spesso questo contrasto sfocia in discussioni piuttosto serie fra i giocatori con basi motivazionali diverse.
Gli appartenenti cercheranno di preservare un concorrente dall’essere troppo danneggiato, mentre i realizzanti cercheranno di eliminare senza pietà gli avversari. I primi giudicheranno negativamente il comportamento dei secondi che si difenderanno con “ma è il gioco!” con escalation del conflitto e conseguenze sulle relazioni che qualche volta vanno ben aldilà del gioco stesso.
La conseguenza diretta di questa divisione motivazionale nei meccanismi del gioco è quindi nella capacità del gioco stesso di essere automotivante per diversi insiemi di individui.
È chiaro per esempio che un sistema di premi a punti sia totalmente limitante persino per quelli che sono nell’area della Realizzazione-Differenziazione. Questi ultimi saranno ingaggiati nella misura in cui il gioco fornisce loro la possibilità di emergere e differenziarsi rispetto agli altri.
Questo ovviamente dipende non dal punteggio, ma dall’importanza che viene attribuita al punteggio finale nell’ambito dell’organizzazione in cui si lavora o della comunità a cui si appartiene.
Chi è interessato ad essere il primo di una classifica che non interessa a nessuno?
Quindi questo implicherebbe che vi sia una conseguenza visibile dell’esito della classifica nell’organizzazione.
E che ne è di quelli che sono spinti dal desiderio di conoscere, apprendere, esplorare, dall’avere sfide difficili da risolvere? Se la meccanica del gioco è debole e il sistema non è complesso si annoieranno molto presto.
E gli appartenenti? In che modo sviluppano il loro essere in relazione con gli altri? In che modo sentiranno di essere più integrati ed utili agli altri? Se l’esito del gioco produce nella realtà una differenziazione concreta, lo potrebberopersino percepire come una minaccia alla componente relazionale e al clima.

Mi sembra quindi che, semplicemente prendendo in considerazione elementi di psicologia di base, sia possibile tratteggiare 3 diverse linee motivazionali di cui il gioco dovrà tenere conto nella costruzione della sua struttura per garantire un ingaggio elevato ad un numero ampio di giocatori. In realtà le cose sono anche molto più complesse di così, per la presenza di un sistema motivazionale dell’essere umano più articolato di quello appena esposto e per le attitudini dei singoli giocatori sia rispetto al rischio sia rispetto alle capacità cognitive e alle emozioni.
Direttrici motivazionali e componenti del gioco richiedono un design puntuale e calibrato, in funzione del target, non possono essere approcciate in modo semplicistico.
Ma di questo parleremo in un articolo successivo.



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Andrea Abbatelli
Co-fondatore e Partner di Kiai, è consulente di organizzazione, formatore manageriale e business coach. E’ stato Direttore del personale, dei servizi generali e dell’IT di aziende farmaceutiche multinazionali, coinvolte in operazioni di merger & acquisition, spin off e cambiamento strategico. Ha coordinato numerosi progetti di riorganizzazione e cambiamento orientati all’efficienza e al miglioramento dei processi, sviluppo manageriale e della rete vendita per aziende rilevanti in settori di mercato diversi (ICT, Bancario, Industriale, Farmaceutico, Servizi, Retail). Insegna Gestione Risorse Umane e Project Management alla Scuola Universitaria Professionale della Svizzera Italiana (SUPSI). Ha insegnato “Metodologie e tecniche del gioco e dell’animazione ludica nei processi formativi degli adulti”, presso la facoltà di Scienze della Formazione dell’Università degli studi di L’Aquila.  E’ laureato in Fisica. Ha un Diploma of Advanced Studies in Business Coaching conseguito presso la SUPSI e un diploma di Counselor conseguito presso la Scuola Berne Counseling di Milano. E’ vice Presidente di HR Ticino, associazione dei professionisti HR della Svizzera Italiana.

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