Il gioco come Pure Play nella filosofia di Charles Sanders Peirce (1839-1914)
Ottavo articolo della collana “Il gioco nella filosofia” dedicato a Charles Sanders Peirce. La collana si propone di illustrare come il gioco sia presente nella filosofia di vari pensatori e quale funzione esso abbia assunto nel corso della storia della filosofia. La serie è curata da Brunella Antomarini, docente di filosofia presso l’università John Cabot di Roma.
Il presente articolo è incentrato sul significato del gioco nel pensiero di Charles Sanders Peirce.
Molti pensatori occidentali, ormai lo si sarà capito, non negano la valenza filosofica del gioco. Se praticato nella misura giusta, il gioco stimola quella creatività produttiva che ci permette di comprendere tanto la realtà quotidiana quanto le complesse leggi che regolano l’Universo. È Charles Sanders Peirce, filosofo e matematico statunitense conosciuto come padre del pragmatismo, a svelare come il Puro Gioco – o Pure Play, come lo definisce lui – è prerequisito fondamentale per la conoscenza. Nel suo saggio del 1908, “The Neglected Argument for the Reality of God” (Il Trascurato Argomento per la Realtà di Dio, CP Ch.3), Peirce fa del libero gioco di idee il punto di partenza per quello che viene riconosciuto come fondamentale anche nella ricerca scientifica. La scienza è infatti lo studio delle cose inutili e gli scienziati utilizzati per il lavoro pratico sono sprecati, è come “far funzionare un motore a vapore bruciando diamanti” (CP, Ch. 2, 76).
Rende così il gioco parte integrante della ricerca della verità che ha ossessionato l’umanità fin dagli albori. Peirce lo chiama Musement, un termine che dà l’idea del pensare e del divertirsi da parte del Muser: chi pensa e si diverte. L’importanza del Pure Play è sottolineata dall’argomento religioso del saggio: quando pensiamo all’esistenza di un dio, facciamo un’operazione mentale e cognitiva di Pure Play, una fantasia attraente, una specie di reverie (CP 458 e 465). La logica stessa è operata dal giocatore (player) che attiva la sua piena efficienza nel Musement, perché le sue capacità più elevate che sembrano giocattoli sono in realtà attrezzi da taglio (edgetools) (CP 461).
Nella concezione di Peirce, il gioco, inteso appunto come libertà immaginativa, non deve essere finalizzato a uno scopo pratico. Al contrario, come l’istinto al gioco di Schiller, deve essere un’attività priva di un fine specifico, che non ha regole se non quelle della libertà. Se praticato un “cinque o sei percento del nostro tempo da svegli”, (EP, 436), in genere all’alba o al tramonto, come spiega Peirce, questo gioco di immaginazione permette alla mente di vagare liberamente e la rende ricettiva a nuove idee. Non esiste un solo modo di giocare. Esempi di libero gioco sono la contemplazione estetica, la costruzione di castelli di sabbia – reali o immaginari che siano, oppure il tentare di indovinare la causa di un qualche fenomeno anomalo che ci incuriosisce. Questo terzo tipo di attività è quella su cui occorre soffermarsi per capire il nesso fra gioco e conoscenza. Attraverso il libero gioco di idee, la mente si apre a stimoli esterni e si accorge di qualcosa di strano, curioso, che necessita una spiegazione. La mente inizia così a speculare sulle cause di questa anomalia, ipotizzando spiegazioni plausibili, anche se non necessariamente vere.
Peirce definisce questo processo di speculazione “abduzione”. L’abduzione è un particolare tipo di inferenza che occorre distinguere dalla deduzione e dall’induzione. Mentre la deduzione permette di ricavare conclusioni da premesse generali e già note (del tipo: se Socrate è un uomo e gli uomini sono mortali, Socrate è mortale) e l’induzione di derivare considerazioni generali a partire da casi specifici (del tipo: se molti casi simili si ripetono, posso concludere che probabilmente c’è una causa che li unisce), l’abduzione ci porta a formulare una spiegazione plausibile a partire da un’osservazione sorprendente o incomprensibile. Prendiamo un esempio concreto, spesso citato per illustrare l’abduzione. Si immagini di osservare un fagiolo bianco (il fenomeno da spiegare) e di notare la presenza di un sacchetto pieno di fagioli bianchi (una considerazione generale). Si potrà così ritenere plausibile l’affermazione che il fagiolo osservato potrebbe provenire dal sacchetto in questione. È bene notare che il processo abduttivo non richiede che l’affermazione sia vera. (CP, Ch.5, 623). È un modo di indovinare con pochi indizi e nessuna prova. Si prenda una partita di scacchi, in cui un giocatore cerca di capire cosa stia pensando l’altro per poterne anticipare le mosse. Non potendo decifrare il pensiero dell’avversario con esattezza, il giocatore tenta di “indovinarlo” utilizzando ogni indizio a sua disposizione, come l’espressione dell’avversario, la direzione del suo sguardo, l’ultima mossa eseguita. Questo “indovinare”, che Peirce chiama guess-work, negli scacchi permette ai giocatori di prendere una decisione fra le migliaia di combinazioni a disposizione in condizioni di incertezza, basandosi su supposizioni che cercano di avvicinarsi alla realtà il più possibile.
Nella vita quotidiana ancor più che nella ricerca scientifica o negli scacchi spesso non abbiamo modo né tempo o voglia di verificare la correttezza delle nostre ipotesi. Allora usiamo il libero gioco delle idee, l’immaginazione creativa, per comprendere la realtà. Una volta che ci siamo formati nella mente una soluzione, o uno scenario plausibile, o un’immagine che ci renda la sensazione di sorpresa o inquietudine accettabile, non cerchiamo oltre. Che sia giusta o no, valida o no, ce lo diranno gli effetti successivi, sui quali non abbiamo alcun potere. Questo limite cognitivo è però anche quello che ci fa andare oltre il dato, l’ovvio e il familiare. È alla base del genio, dell’arte, dei giochi di intelligenza.
Il momento senza scopo dell’essere passivamente attratti dal nuovo ci rende più svegli e attenti a soluzioni impensate. È così che il gioco può essere interpretato come fondamento del nostro processo di apprendimento. Aumentiamo la nostra conoscenza lasciando la mente libera di vagare fra pensieri, di cogliere anomalie nel mondo circostante e di immaginare scenari ipotetici che potrebbero spiegare questa anomalia. Il sapere così acquisito contiene inevitabilmente degli errori. Tuttavia, nella pratica, quando pensiamo e immaginiamo senza scopo, non facciamo distinzione tra errore e verità, ma siamo rivolti esclusivamente al nostro stato psichico e, se la soluzione abduttiva lo migliora, ci basta. È la fase ‘estetica’ del pensiero, ma senza di essa, senza Musement, senza libertà di immaginare non ci sarebbe nemmeno pensiero razionale. Ciò che è privo di errori è il processo di apprendimento in sé. In altre parole, il libero gioco di immaginazione propugnato da Peirce è il modo più pratico di trarre conclusioni tanto nel quotidiano quanto nella scienza, avvalendosi di idee originali che possiamo trovare solamente in questo stato di libertà creativa.
Come Peirce raccomanda:
“Entra nella tua barca del divertimento-pensiero, inoltrati nel lago del pensiero e lascia che il respiro dell’Universo gonfi la vela. Con gli occhi aperti, accorgiti di quello che ti sta intorno o dentro, e conversa con te stesso; perché questa è ogni meditazione” (CP 461).
Riferimenti
The Essential Peirce, A cura di Jonathan R. Eller, Cathy L. Clark, Andre de Tienne, Albert C. Lewis e D. Bront Davis. Indiana University Press, 1998.
The Collected Papers of Charles Sanders Peirce, Edizione elettronica basata sull’edizione curata da Charles Hartshorne e Paul Weiss, Cambridge, MA: Harvard University Press, 1931-1935.